"I repubblicani alla Costituente"/Un libro raccoglie gli interventi del Gruppo del Pri

Riforma della Costituzione? Torniamo al 1947

"Una Costituzione reticente non è una Costituzione convincente. Bisogna che il cittadino, senza riferimenti sibillini, possa conoscere immediatamente i principi basilari cui s’informa la Costituzione. Bisogna che una Costituzione – come espressione della educazione civile e politica di tutto un popolo – possa esporsi al libero giudizio delle nazioni. Lo spirito, purtroppo, che pervade questa Costituzione – lo avete udito tante volte e le udrete ancora – è, per quanto si cerchi di negarlo, lo spirito del compromesso". Parole, queste, che costituiscono una splendida introduzione a quale fosse lo spirito che animò in profondità il lavoro dei repubblicani all’Assemblea Costituente. Parole di Ugo Della Seta pronunciate il 5 marzo 1947 quando si dibatteva dei principi fondamentali della nostra Carta, in modo specifico di quale fosse il meccanismo regolatore dei rapporti fra Stato e Chiesa. Un acceso, appassionato e pur logicissimo intervento che, insieme ad altri, è stato raccolto ne "I Repubblicani all’Assemblea Costituente" (Rubbettino, pp. 297, a cura di Alessandro Massimo Nucara, prefazione di Antonio Maccanico). Era chiara a Della Seta, come ai suoi colleghi di partito, la natura "bifronte" della Costituzione, che nasceva al contempo "progressiva e retriva". Da un lato (per quanto ad esempio concerneva le autonomie regionali, le norme economico-sociali) essa mirava a spingersi "oltre il liberalismo", "verso la democrazia". Dall’altro sembrava segnata in maniera preoccupante da "posizioni anacronistiche". E Della Seta si riferiva a residui di fascismo – addirittura di "Statuto albertino" – in essa presenti, con specifico riguardo al pericolo di uno "Stato confessionale" responsabile delle "menomazioni morali e giuridiche delle minoranze religiose". Più in generale, al di là delle singole sezioni tematiche (che nel volume si susseguono con il medesimo ordine che la Costituzione attribuisce ai diversi argomenti), l’opacità denunciata da Della Seta in quegli anni si ripropone ai giorni nostri come un lascito che ancora grava sulla nostra Carta. Auspicio di chi ha promosso il volume, cioè il Partito repubblicano italiano, si legge nell’introduzione, è di conseguenza quello che "le parole dei padri della Patria aiutino l’Italia a trovare la via per la revisione del proprio ordinamento e contribuiscano a mantenere il dibattito politico istituzionale sui binari della ragione e della ragionevolezza".

Ma la pubblicazione ha anche una non meno rilevante intenzione, che Antonio Maccanico, nella prefazione, definisce come merito principale del volume, vale a dire quello "di fornire ampia e convincente documentazione per contestare una tesi divenuta assai diffusa e quasi corrente nella polemica politica e istituzionale, e cioè che la nostra Costituzione sia sostanzialmente il frutto di un compromesso tra i partiti marxisti e la Democrazia cristiana del tempo, e quindi legato ad una fase della politica nazionale ormai totalmente esaurita e superata. Una sorta di prodotto catto-comunista ormai da archiviare". Certo, per alcuni costituzionalisti, il celebre incipit che vede la nostra Repubblica come "democratica, fondata sul lavoro" non nasconderebbe un richiamo ai principi del socialismo di marca sovietica. E non a caso Ugo La Malfa, che fu eletto nella Concentrazione democratica repubblicana, ma che poi aderì al Pri, proponeva, assieme ad altri, nella seduta del 22 marzo 1947, di sostituire l’articolo 1, poi approvato nella forma che conosciamo, con la definizione di Italia come "Repubblica democratica fondata sui diritti di libertà e sui diritti del lavoro". Sottigliezze, queste, se proprio così le vogliamo definire, che certo non sfuggivano all’esperta e agguerrita pattuglia repubblicana alla Costituente, forte di 23 deputati, che salirono a 25 con l’entrata di Parri e La Malfa, e poi fino a 29, per via di alcune sostituzioni nel corso della legislatura. Il repubblicano Tomaso Perassi fu uno dei segretari della Commissione dei 75 (incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione); fecero parte di questa anche Giovanni Conti, Francesco De Vita e Oliviero Zuccarini. Tre furono poi le Sottocommissioni in cui i 75 si articolarono: particolarmente rilevante fu il lavoro di Conti e Zuccarini nella Sottocommissione dedicata all’ordinamento istituzionale, di cui fu segretario Perassi. Ed è storicamente riconosciuto come, soprattutto nell’ambito della formulazione della seconda parte della Costituzione, relativa appunto alle istituzioni, i repubblicani abbiano svolto un lavoro ed abbiano avuto un’influenza di gran lunga più rilevante del loro peso numerico: una sorta di "destino", forse un po’ elitario – pur non volendolo gli stessi repubblicani - che ha sempre distinto la storia del partito sin dalla concezione embrionale della Repubblica ("status" non certo irrilevante anche nella scelta delle alleanze).

Ripercorrendo i lavori della Commissione, viene forse da stupirsi – o magari da sorridere, facendo il paragone col presente – quando si scopre quanto fosse appassionata, ad esempio in uno Zuccarini, la difesa dell’opzione federalista: dopo il fascismo, dopo lo Stato accentratore e dittatoriale, i repubblicani (Zuccarini in particolare) ritenevano necessario un ritorno a Cattaneo come fonte di ispirazione, ove beninisteso l’esigenza federalista precedesse la costituzione di un’ipotetica federazione di Regioni. Un po’, se vogliamo, l’esatto contrario di ciò che viene proposto oggi dall’odierno federalismo "destruens", che si intuisce più egoista che solidale, processo di cui a fare le spese sarà ancora una volta, se non si interverrà, il "solito" Mezzogiorno. Conforta, allora, magari andarsi a rileggere le parole di Zuccarini del 4 dicembre 1947: "Tali Regioni, attraverso l’ordinamento che l’Italia ha sin qui avuto, si sono viste diminuite e dimenticate. Noi invece, nel porre tutte le Regioni sullo stesso piano per quanto si riferisce alla possibilità di sviluppare le loro attività, le loro energie e le loro risorse, non possiamo dimenticare che molte di queste Regioni si trovano oggi veramente in condizione di patente inferiorità di fronte alla altre". Ma conforterebbe ancora di più se la dottrina e la passione di quei Padri repubblicani trovassero oggi oculata e sensata realizzazione. In fondo, dal 1947 ad oggi, poco sembrerebbe cambiato.